Buon anno: e fortuna tutto l’anno, altrimenti…

“Bon dè e bon an: e furtòna par tot l’an” (buon giorno e buon anno: e fortuna per tutto l’anno). Era la filastrocca con cui i bambini d’un tempo andavano a bussare nelle case di campagna e dei borghi, la mattina di Capodanno, per “garavellare”, cioè racimolare, caramelle e magari qualche soldino.

Tuttavia, se da qualche casa avara non arrivavano i piccoli doni di ringraziamento, era pronta la rima di riserva al “bon an”: ovvero, “ch’uv murès e sumàr sot e capàn” (che vi morisse l’asino sotto il capanno). Vivaddio, come si fa a non sorridere davanti agli auguri sbarazzini dei bambini e delle bambine?

Inoltre, abbiamo riusato volentieri il verbo “garavellare”, che appartiene ai dialetti romagnoli ed è ancora usato da noi: è interessante perché viene direttamente dal latino medioevale “garavella”, che significava piccolo grappolo d’uva. Anche caramella, come parola, ha origine agricola: il termine italiano viene dallo spagnolo “caramel” che, a sua volta, viene dal latino medioevale “canna mellis”, cioè canna da zucchero.

A proposito di caramelle, ecco un augurio poetico da parte di Tugnazz che, dopo un boccale di sangiovese, si è esercitato con la metrica in endecasillabi di Giovanni Pascoli.

Le caramelle

“Oggi ho impastato le caramelle/ le caramelle d’erba trastulla/gocce di miele, raggi di stelle/ lievi che sembrano fatte di nulla/ Volete ribes, menta, lampone/ gusto di fragola, gusto d’arancia?/ Dolci ed acidule quelle al limone/ come le lacrime lungo la guancia/ C’è la cedrina, ci son le more/ c’è l’amarena, c’è il ratafià/ e chi le succhia sente nel cuore/ una dolente felicità/”.
P.s. Il ratafià è un distillato alcolico di ciliegie nere. Un secolo fa andava forte, oggi c’è ancora, ma è liquore di nicchia per chi cerca sapori che ricordano, oppure che fanno ricordare. State bene, bella gente.

Il Passator Cortese

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