Manca una filiera del girasole che valorizzi la produzione

campo girasoli

Erika Angelini

In Italia il fabbisogno di semi di girasoli per la produzione di olio è coperto, per almeno il 50%, dalle importazioni dall’Ucraina.
In base ai dati Istat, infatti, la quantità di girasole prodotta nel 2021 si è attestata su 280mila tonnellate, mentre il nostro fabbisogno interno è di oltre 700mila, aumentato dopo l’eliminazione, anche se non totale, dell’olio di palma.

Un gap che bisognerebbe colmare ma che, come accade per molte altre colture cerealicole e industriali, non avviene, soprattutto perché agli agricoltori non conviene.
Come ormai è noto, spesso i prezzi pagati non coprono i costi di produzione, perché sono decisi su mercati esteri in maniera che si può tranquillamente definire, speculativa.

Per il girasole, in particolare, manca una filiera che valorizzi la produzione e sia remunerativa per chi lo coltiva, come spiega Massimo Piva, produttore e membro del Gie (Gruppo di Interesse Economico) di Cia Ferrara, che monitora la situazione produttiva e di mercato del comparto.

“In queste settimane – spiega Piva -, credo sia finalmente maturata la piena consapevolezza dell’importanza dell’autosufficienza a livello di materie prime e produzioni alimentari. Un’esigenza che, noi agricoltori, conosciamo perfettamente e che abbiamo chiesto più volte ai Governi di perseguire, con misure di sostegno per promuovere la produzione cerealicola italiana e di qualità.

Quando è stato messo al bando l’olio di palma abbiamo organizzato una campagna promozionale per riportare in Italia la produzione di girasole ma è mancata, a nostro avviso, una ferma volontà da parte dell’industria di trasformazione per la creazione di una filiera italiana.

In Italia ne produciamo meno e lo importiamo dall’Ucraina, dopo la messa al bando dell’olio di palma il fabbisogno è aumentato

Il girasole è una pianta sostanzialmente rustica, che non richiede concimazioni: vent’anni fa nel territorio ferrarese siamo arrivati a 3mila ettari investiti, cifra che è poi diminuita negli anni attestandosi su una media di circa mille ettari.
Ma è, come già ribadito, normale, attualmente il girasole per essere remunerativo, deve avere un prezzo di almeno 65 euro/quintale, soprattutto se viene coltivato nelle aree più marginali dove la resa è molto limitata, ma sono quotazioni difficili da raggiungere, nemmeno ora con la crisi produttiva dovuta alla guerra. Credo che non sia possibile tornare indietro e ricominciare a usare massicciamente l’olio di palma, anche perché è molto più ricco di grassi saturi rispetto a quello di girasole che è decisamente più salutare.
Ma l’autosufficienza – conclude Piva – non si può raggiungere “a spese” dei produttori: serve una politica lungimirante per promuovere le filiere e azioni per favorire, magari alcune coltivazioni considerate minori come girasole, avena, farro in terreni che si trovano in zone marginali nel Nord e Centro Italia, che non vengono coltivati.
Solo così, con una parte istituzionale che fornisce sostegni e interviene per rimediare ai gap produttivi e una parte industriale che non specula, ma investe in una filiera con il valore distribuito in maniera equa, si può pensare di mitigare la dipendenza dalle importazioni e rilanciare alcuni comparti che possono diventare strategici per il nostro settore agricolo”.

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